Itinerario delle ville storiche di Cornate d'Adda | |
Tipo itinerario | Pedonale |
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Stato | Italia |
Regione | Lombardia |
Territorio | Brianza |
Città | Cornate d'Adda |
Itinerario delle ville storiche di Cornate d'Adda è un itinerario che si svolge attraverso il comune di Cornate d'Adda, in Brianza.
Introduzione
[modifica]Sul territorio di Cornate d'Adda insistono alcune ville risalenti al 1700-1800, fatte realizzare dalle famiglie economicamente più in vista dell'epoca. Alcune oggi sono residenze private, mentre altre sono state convertite ad uso pubblico. Nel loro insieme costituiscono una testimonianza storica del tessuto sociale e dell'impianto economico del territorio.
Come arrivare
[modifica]Per approfondire, vedi: Come arrivare a Cornate d'Adda. |
Tappe
[modifica]- 1 Partenza – Chiesa di San Giorgio Martire
- 2 Villa Comi
- 3 Villa Frova Barbieri
- 4 Villa Paradiso
- 5 Villa Sandroni
- 6 Villa Pia
- 7 Villa Monzini
Villa Frova Barbieri
[modifica]Dalla chiesa di San Giorgio Martire proseguire sempre dritto sulla via Giacomo Matteotti; la villa è sulla destra.
Questa villa, forse di origine settecentesca, presenta attualmente uno stile piuttosto eclettico. Dalla fine dell’Ottocento, il corpo padronale è arretrato e posto parallelamente alla strada, sulla quale si affacciano un grande portale di ingresso ed una portineria,che racchiudono all'interno un cortile d’onore.
Per quanto riguarda la struttura architettonica decorativa, oltre ad alcune tracce più antiche, forse seicentesche ancora visibili sul corpo destro (quali un frammento di portichetto, due luci con archi ribassati e colonna di granito),l’elemento più rilevante è costituito da una sequenza omogenea neo barocchetta della incorniciatura di tutte le finestre e del blocco padronale.
In ottime condizioni è il parco recintato che circonda la villa da tre lati e che presenta un’impostazione romantica, di stampo ottocentesco. La Villa, che appare nella carta topografica del Brenna (1841) con il nome di Casino' Frova, è oggi residenza privata.
Villa Comi
[modifica]La villa è una delle più antiche del territorio, la sua edificazione è datata intorno al 1650. “Villa Comi” è già presente con questa denominazione nella carta topografica del Brenna del 1841. L'impianto a “U” è tipico della residenza di villeggiatura che si è sviluppato nel XVII-XVIII secolo nel milanese.
I due corpi dell'impianto sono raccordati, dalla parte della strada, da un muro che delimita il cortile e nel quale è stato ricavato il portone d'ingresso di stile barocco.
L'edificio padronale di destra si affacciava verso sud sul grande parco, ora quasi completamente scomparso. Questo edificio era dotato di un portico a due archi, divisi da una colonna, ora chiusi da vetrate (sede Polizia Locale). Nonostante la sua modestia a livello architettonico, degni di nota sono la ricca corniciatura superiore, alcune modanature. e i due particolarissimi camini a tortiglione posti sul tetto. All'interno una grande sala con il soffitto decorato con motivi floreali e animali, probabilmente risalenti al XVIII secolo.
Invece l'edificio sulla sinistra era adibito a rustico al servizio di tutta la villa.
Nel 1871 la villa subì un incendio per cui venne parzialmente ricostruita.
Fino al 1983 è stata la sede del Municipio.
Ora ospita la sede del comando della Polizia Locale, alcuni servizi comunali, ambulatori medici e abitazioni.
Villa Paradiso
[modifica]Dalla villa Frova Barbieri, in via Giacomo Matteotti, proseguire sempre dritto; ai due incroci andare dritto per via Giacomo Matteotti. Alla fine della strada svoltare a destra, continuare sempre dritto e poi svoltare alla propria sinistra. Proseguire dritto e alla rotonda prendere la prima; la villa è sulla sinistra.
La storia di questo grande complesso architettonico è molto ricca di dettagli; si può volendo partire dall'origine del nome Villa Paradiso, da varie leggende si afferma che il nome è ben meritato poiché dalla Villa, presente sulla riva destra dell'Adda, si gode di una vista sorprendente.
L'edificio è stato costruito nel 600 dai Gesuiti, e nella stessa area sorgeva una casa nobile con congiunti edifici rurali come ci testimoniano alcuni frammenti del 400. I Gesuiti poiché costruttori ci abitarono anche nelle Villa. Infatti dalla fine del 600 al 1773, anno della soppressione dell'ordine furono i proprietari della Villa per-magna (alla quale la tradizione attribuisce tante stanze quante i giorni dell' anno).
La Villa nel 1705 era stata quartier generale dei francesi nella guerra di successione di Spagna, fu acquistata successivamente dai Conti Bughi di Cornate. All'inizio dell' 800 Gaetano Bughi demolì gran parte della Villa alla ricerca di un tesoro, ma ne determinò lo stato attuale dopo una serie di piccoli interventi di sistemazione.
Si può accedere alla villa dal cortile d'onore, disposto a terrazzo verso la valle. Il blocco padronale settecentesco e con tracce di un giardino è unito all'ingresso da un loggiato e poi chiuso da un insieme di corti multiple e caseggiati laterali strutturati secondo l'asse Nord-Sud. Inoltre il complesso è arricchito da una cappella dedicata a del 700. l'interno della Villa è rimasto identico invece il giardino è quasi del tutto ristrutturato e anche recentemente. Oggi la Villa è adibito a ristornate.
Villa Sandroni
[modifica]Partendo da Villa Paradiso per arrivare a Villa Sandroni bisogna percorrere via Villa Paradiso verso sud, continuare per via Guido Rossa fino alla rotonda, svoltare a sinistra in via Giuseppe Verdi, continuare per via Biffi, arrivare in Piazza Libertà e infine a sinistra per via Alessandro Manzoni: Villa Sandroni si trova a circa 20 metri dall'incrocio sulla destra.
La villa è una delle più antiche del territorio Colnago: la sua edificazione è datata attorno al 1650.
Dopo vari passaggi di proprietà, di cui non si conoscono i titolari, nel 1830 la villa risulta appartenere a Carlo Rota, sindaco di Colnago, comune autonomo fino al 1870, successivamente unito a quello di Cornate. La bandierina segnavento porta ancora le iniziali C.R.
Parte della villa in quei tempi era adibita a filanda, attività molto diffusa allora e che impiegava centinaia di ragazze del paese. Qualche anno più tardi Carlo Rota sposa la milanese Giuseppina Jodani che resterà vedova e senza figli. Alla morte della signora la villa passerà di proprietà a suo fratello, l’ingegner Achille Jodani, sposato con Sofia Porro Lodi, dalla quale avrà tre figlie. A lui si deve la ristrutturazione del 1860, che non viene portata a termine per la morte prematura avvenuta nel 1873. La casa resta della moglie e delle figlie, una delle quali, Erminia, sposerà Carlo Sandroni. Ai coniugi passerà la proprietà della villa e più tardi ai loro eredi diretti fino ai primi anni del 1990, quando l'intera proprietà viene acquistata dall'amministrazione comunale.
L'intera struttura consiste in un corpo centrale adibito a casa padronale, ingentilita da un portico aperto, sorretto da colonne sfaccettate in mattoni ricoperti e terminanti con capitelli dello stesso materiale a vista, comunicante con l'androne d'ingresso.
Uno spazioso cortile conduce ad un vasto parco, recentemente ristrutturato, con numerose essenze arboree e fiori; in una parte di esso è stato allestito un parchetto adibito a giochi per i bambini.
Prima di accedere al parco, sulla sinistra, si può ammirare un pozzo attorniato da un acciottolato dal disegno molto particolare, mentre a lato si apprezzano un piccolo edificio adibito allora a limonaia e, nelle adiacenze, strutture utilizzate per usi vari.
Attualmente la villa ospita la farmacia comunale, la biblioteca, la sede della Pro Loco ed altre associazioni.
Villa Pia
[modifica]Vai dritto da via Alessandro Manzoni fino alla rotonda, poi prendi la seconda uscita, vai dritto fino al primo incrocio, poi gira a destra e prosegui per la via Oriana Fallaci, al prossimo incrocio svolta a destra e poi a sinistra per la via Ambrosoli, alla fine della via gira a destra e continua dritto per la via Monsignor Caccia Domignoni, proseguire sempre dritto fino alla via Giuseppe Mazzini; la viila è sulla destra.
Nel 1924 i Monzini vendono la villa alla famiglia Albanese, importanti industriali manifatturieri nel campo tessile. Gli Albanese risiedono nella città di Milano, ma svolgono la loro attività industriale a Ponte San Pietro (BG). In questa località possiedono, come dimora estiva, una villa con relativo parco che viene curato da un giardiniere del posto, il quale ha come aiutante un ragazzino di Presezzo, classe 1908, di nome Giacomo Mazzola. L'edificio acquistato è destinato alla loro unica figlia Pia, sposata con Guido Rossi, un intraprendente amministratore di industrie tessili.
I nuovi proprietari decidono di ristrutturare radicalmente la villa e nel frattempo acquistano altro terreno che circonda l'edificio.
La signora Pia, una bella donna, buona, generosa, intelligente, molto religiosa ed amante dell'arte segue personalmente i lavori di ristrutturazione della villa dandole l'impronta attuale, impreziosendola con stucchi, colonne e affreschi e impiantando nei cortili prospicienti la villa vasche e fontane. L'immenso terreno annesso alla villa viene trasformato in un grandioso parco con alberi di alto fusto, essenze rare, siepi e vialetti. I lavori più importanti vengono eseguiti dallo stesso giardiniere di famiglia che, su pressione degli Albanese, porta con sé anche il giovane Giacomo. Giacomo è un ragazzo sveglio, laborioso ed ubbidiente, per questo è molto apprezzato dal suo datore di lavoro, ma soprattutto è la famiglia Albanese ad avere una grande simpatia per lui, maturata negli anni in cui Giacomo frequentava la loro proprietà di Ponte S. Pietro. Nel 1930 i lavori di ristrutturazione della villa sono terminati, mentre quelli di impianto del parco sono ad un buon punto.
Nel frattempo i signori Rossi stabiliscono qui la loro dimora estiva e decidono di darle un nuovo nome: “Villa Pia”. Nel decennio successivo la villa è meta di frequentatori illustri, amici e conoscenti della famiglia Rossi: alti esponenti religiosi, magnati dell'industria e della finanza, rappresentati autorevoli del mondo culturale ed artistico ma, soprattutto, grandi mecenati.
All'ingresso della villa gli Albanese avevano fatto ristrutturare e ingrandire il vecchio casino di caccia, ricavandone l'abitazione del custode che, naturalmente, avrebbe dovuto essere una persona fidata, seria e capace di attendere alla manutenzione della proprietà. La signora Pia da anni aveva in serbo il nome di una persona che offriva tutte queste garanzie: Giacomo Mazzola. Nel 1930 Giacomo sposerà la signorina Maria Ravasio, anche lei di Presezzo, e si trasferiranno a Villa Pia in qualità di custodi e qui nasceranno i loro cinque figli.
Guido e Pia non ebbero la gioia di avere figli, riversarono tutto il loro affetto sulla famiglia Mazzola e si prodigarono in opere di bene aiutando i poveri ed i bisognosi. Ogni domenica essi erano sempre sulle prime panche della chiesa ad assistere alla Santa Messa, celebrata dall'allora parroco don Giulio Ambrosiani che divenne l'ospite preferito dei Rossi.
Nel 1937 l'Arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster consacrò la nuova e più grande chiesa parrocchiale di Porto, nell'omelia il Cardinale ringraziò pubblicamente il parroco, i cittadini di Porto per il loro aiuto ed i benefattori che con le loro sovvenzioni ne permisero la costruzione ed auspicò che negli anni a venire, finanze permettendo, si potesse abbellire l'interno del tempio, ora semplicemente disadorno. Al termine della celebrazione l'Arcivescovo incontrò i coniugi Rossi che, nella loro semplicità, confermarono al prelato la loro intenzione di farsi carico dell'abbellimento interno della chiesa.
Più tardi contattarono il pittore Vanni Rossi, omonimo ma non parente, di Ponte San Pietro per decorare con affreschi le pareti e le volte interne della chiesa con scene del Vecchio e Nuovo Testamento. I lavori iniziarono nella primavera del 1940 per terminare nell'autunno del 1945 con il risultato di aver prodotto un'opera d'arte di immenso valore artistico e di una bellezza emozionante.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale nel 1940 Villa Pia si scopre più tranquilla, gli ospiti si diradano, la frenesia delle attività commerciali rallenta, i coniugi Rossi hanno più tempo per sé stessi e spesso si recano in chiesa ad osservare l'andamento dei lavori degli artisti. Osservano estasiati gli affreschi già terminati, la signora Pia è sempre più attratta dalla scena della “Città Santa” dove lei è rappresentata con il marito ed altre persone conosciute: la fedele custode della villa Maria con in braccio il piccolo Guido Pio ed alle spalle l'altra figlia Nerina, la fornitrice di alimentari per la villa Zita con davanti il figlio Piergiuseppe e l'anziano parroco don Giulio orante.
La signora Pia, nata il 20 settembre 1888, morirà l'1 febbraio 1945 lasciando solo Guido, il quale qualche anno più tardi si risposerà con una signora fiorentina che aveva un'analoga proprietà in Toscana. (Guido Rossi nato il 21 maggio 1881 e morto il 13 settembre 1957).
A seguito di questo evento Guido Rossi vende l'intera proprietà alla signora Ottavia Mellone, vedova Vitagliano, amica dei coniugi Rossi e assidua frequentatrice di Villa Pia, fin dagli anni '20, assieme al marito Nino, scomparso nel 1933. I coniugi Vitagliano ebbero due figli: Rossana e Giovanni. I Vitagliano, ma in seguito e soprattutto per merito della signora Ottavia, furono grandi imprenditori e pionieri nel campo dell'editoria.
Avendo interessi economici a Santa Margherita Ligure e, quindi, impossibilitati a frequentare la villa, la signora Ottavia dal 1954 al 1967 la cede temporaneamente, con grande generosità, al Piccolo Cottolengo don Orione di Milano, che la utilizzerà come colonia estiva per bambine diversamente abili.
Alla morte della signora Ottavia Vitagliano nel 1974 la villa passa in eredità ai quattro nipoti, figli di Rossana e Giovanni, che la dividono in due parti. Una parte, comprensiva di immobili rustici e metà parco, verrà venduta a privati estranei alla famiglia; l'altra, contenente la villa, il parco residuo e la guardiania, verrà ristrutturata e diventerà la residenza del signor Carlo Vitagliano, quarto nipote della signora Ottavia.
Nel cambio di proprietà la famiglia Rossi, riconoscente a Giacomo e Maria per il lavoro svolto come giardiniere e custode, metterà una postilla a loro favore che li autorizza a rimanere in villa vita natural durante. Nella seconda metà del 1800 la famiglia Monzini, noti proprietari terrieri ed imprenditori, possedeva su questa area un casino di caccia, quello che poi verrà trasformato in guardianìa. Nel 1902 costruisce nei pressi del casino una villa rustica che verrà chiamata “Villa Carlotta”, in onore della consorte di un membro della famiglia.
Villa Monzini
[modifica]Dalla villa Pia in via Giuseppe Mazzini, seguire la strada andando verso il fiume Adda, prima di arrivare alla piazza Don Giulio Ambrosiani, girare all'incrocio di via Largo Adda. Girare a sinistra e poi a destra fino all'oratorio di Porto; giunti a questo punto girare a sinistra e proseguire sulla via Giuseppe Garibaldi sino al n° 12; la villa si trova sulla sinistra.
L’attuale villa Monzini di Porto inferiore è stata convento degli Agostiniani di San Marco in Milano per più di due secoli. Nel 1544, con istrumento del 7 luglio e previo il consenso cesareo, gli Agostiniani, che già possedevano dei feudi, non solo alla Rocchetta, ma anche a Porto, comperarono dal genovese Girolamo Gorla della parrocchia di San Vito in Pasquirolo di Milano una casa da nobile e da massaro con 156 pertiche di terra, situate in Porto e coltivate a campi, a vigne e a boschi, pagando 2583 lire imperiali.
I padri aggiunsero alla casa da nobile una preziosa cappella dedicata a San Nicola che tuttora è ben conservata. Qui si trova un bell’affresco di scuola luinesca, che da alcuni venne attribuito allo stesso Bernardino Luini, il quale lo avrebbe dipinto nel periodo in cui fu ospite di frati di San Marco. Tale ipotesi è da escludere in quanto il pittore morì qualche anno prima che gli Agostiniani si impossessassero del convento, nel 1532.
L’ambiente che circonda la villa Monzini ricorda in alcune parti il paesaggio toscano con file di cipressi, vitigni e dolci declivi. Il Meani era affascinato da questi luoghi dove veniva adottata “quell’agricoltura a disegno che facceva assomigliare la campagna a giardini”.
Secondo lo stesso Meani “il vino prodotto dalle uve maturate su questi ridenti vigneti e gradinate (Ronch), non era inferiore ai migliori di Galbussera, di Mondonico e di Porchera, per isquisitezza e virtù corroborante”.